Ma con chi diavolo sono costretto a passare una serata calda e nera come questa?
A giudicare dalla strega alla mia destra, sedicente vecchiarda so-tutto-io-di-te, si tratterebbe piuttosto della notte delle guance cadenti, notte in cui un ipotetico stuolo di psicologhe putrescenti invoca in dono delle creme antiossidanti.
E speriamo che in preziose ampolle e vasetti di vetro precipitino con i loro principi attivi prodigiosi su quelle loro zucche vuote, mentre dicono qualcosa del tipo che la responsabilità è dei genitori, delle madri che non allattano, della società dello spettacolo…e via con altre ovvietà. Un bel suono avvolgente di percussione su corpi vuoti.
Risatina da fesso.
Quattro paia di occhi puntati su di me, un buon numero, non c’è che dire, considerando il carattere esiguo del gruppo in cui, mio malgrado, mi trovavo. Avevo riso sovrappensiero. E di gusto.
Pensavo, con puerile ilarità, ad una semplice variazione sul tema del San Lorenzo, che consisteva nel porre una A al posto di una E.
Tra l’altro fra le vocali la E (ad eccezione, bisogna riconoscerlo, che come ultima lettera nelle parole accentate) è di gran lunga la più antipatica da veder pronunciare, soprattutto se chiusa, con quella lingua a forma di pringles che spinge pesante contro l’arcata inferiore.
Interrompendo il delirio della divagazione, l’origine dell’insano risolino era l’espressione, appena coniata, STALLA CADENTE, corredata da un’immagine da video gioco demenziale.
Una serie di mucche che, nel più completo sbigottimento, precipitano a gran velocità roteando su se stesse, contornate da qualche meteorite di letame proveniente dallo spazio profondo, per poi prendere fuoco infrangendosi infine contro l’atmosfera.
Ora, ripensandoci, l’immagine non faceva più tanto ridere. L’aria si era rinfrescata e la volta celeste appariva come una soffice e ininterrotta distesa di velluto nero, orizzonte sepolcrale e sensuale allo stesso tempo.
La spaventosa vacuità di un buio tanto pesto era interrotta dallo splendore puntiforme e candido di alcune stelle, che ad un tratto mi sembrarono davvero poca cosa. In quel momento mi sentii a disagio, solo e fesso, più che per le ‘stalle’ di prima.
Triste e con la pelle delle braccia fredda, proprio come se mi mancasse il calore di un abbraccio, con la fronte invece calda, come se mi mancasse lo schiocco lieve e tiepido di un bacio.
Triste, come se quel sentimento di mancanza potesse assurgere a pretesa universale ed essere al contempo disilluso. Come mi ero ridotto per finire in questo buco di situazione, in questo giardino infausto antistante un’odiosissima abitazione, circondato perlopiù da rane e da grilli e, poco più in là, da una malinconica e spessa siepe?
Ti è sempre piaciuto – mi dissi – strafare, lottare contro la mediocrità, resistere al sistema e all’omologazione…e ora?
Ora ero caduto così in basso da trovarmi ad aspettare che una stella dal cielo mi raggiungesse saettante, per poterle sussurrare all’orecchio di esaudire il mio desiderio.
DESIDERARE = dal latino desiderare cioè ” sentir la mancanza di”, derivato di sidus, sideris, “costellazione, stella” [la fonte è il Wikizionario].
Ma altrove ho sentito che se si intende la particella de nel significato di allontanamento, desiderare può essere inteso come tirar giù dalle stelle – etimologia, quest’ultima, forse arbitraria, eppure di gran lunga più suggestiva.