Pietro Verri – DISCORSO SULL’INDOLE DEL DOLORE E DEL PIACERE

Secondo un’opinione comune, la sensibilità dell’uomo, che ne determina l’agire, è scomponibile in due elementi, la RICERCA DEL PIACERE e la FUGA DAL DOLORE.

Questa la premessa del Discorso di Verri.

La totalità delle passioni umane sarebbe, per l’autore, influenzata da una parte dalla speranza, dal desiderio e dal bisogno di piacere e d’altra parte dal timore, dallo spavento e dall’orrore del dolore.

Alcuni filosofi – quali Descartes, Wolf e Sulzer – si sono interrogati circa la vera natura del piacere e hanno esposto le loro definizioni, che riportiamo schematicamente di seguito:

  • Per Descartes il piacere consiste nella coscienza di una nostra perfezione
  • Per Wolf, similmente, esso consiste nel sentimento della perfezione
  • Per Sulzer esso coincide con l’avidità dell’anima nella produzione delle sue idee

Verri ritiene che le tre definizioni sopraesposte siano molto poco precise e anche assai poco condivisibili; infatti, egli ritiene che il piacere di spegnere la sete dissetandosi non abbia né a che fare con il sentimento di una qualche perfezione, né tantomeno che centri con una presunta avidità dell’anima per produrre le sue idee.

L’autore si volge quindi a Maupertuis, che ritiene che il piacere sia quel sentimento che l’uomo preferisce avere piuttosto che non avere. Questa asserzione, nella critica di Verri non è neanche una definizione, ma una tautologia, una superflua ripetizione, o una parafrasi del termine “piacere”.

Ogni uomo – scrive Verri – ha un’idea esatta del dolore e del piacere e ogni uomo è giudice competente in materia di ciò che lo aggrada e di ciò che gli causa repulsione.

Scopo dello scritto è quello di trovare la PROPRIETÀ COMUNE, ossia la comune radice, nella molteplicità delle cose che suscitano PIACERE o DISPIACERE. Per meglio sperare di poter raggiungere tale scopo, sembra funzionale all’autore distinguere anzitutto, fra le sensazioni, le sensazioni fisiche da quelle morali.

Le sensazioni fisiche sono più semplici da analizzare, poiché, a prescindere da un’eventuale riflessione filosofica, esse hanno una loro evidenza, in quanto agiscono direttamente sul nostro corpo. Dopo la cessazione di un dolore fisico – ciò dovrebbe risultare chiaro per chiunque – subentrerebbe una sensazione di piacere.   

Più difficile è invece analizzare il dolore e il piacere morale, poiché non ci è spesso possibile scorgere sul nostro corpo l’effetto di questi due movimenti.

Secondo Verri, gli “uomini inciviliti” sarebbero più sensibili ai piaceri e ai dispiaceri morali, poiché maggiori sono i bisogni e gli obblighi che questi uomini intrattengono con gli altri.

Il DOLORE MORALE è tanto più forte quanto più abbiamo dei “fantasmi” e pensiamo al dolore come totalizzante. L’uomo che soffre interiormente perde il legame con il momento presente e resta inviluppato nella sofferenza del passato e nella preoccupazione dei mali futuri.

Per cui, mentre il piacere e il dolore fisico intrattengono un legame immediato con la sensibilità e con il momento attuale, i piacere e i dolori morali (o, se vogliamo, “mentali”) ci distolgono dal presente e ci confinano nel passato, oppure ci proiettano nell’avvenire.

Conclude Verri che tutte le sensazioni scaturiscono da TRE SOLI PRINCIPI:

  • azione immediata sugli organi
  • speranza
  • timore

Il primo principio causa piaceri e dolori fisici, il secondo e il terzo principio fanno invece scaturire il dolore e il piacere morale.

IL PIACERE MORALE È SEMPRE PRECEDUTO DA UN DOLORE: esso deriva dalla speranza, sentimento che affonda le sue radici nella mancanza (e dunque nel dolore). Tale piacere è anche sempre accompagnato da una “rapida cessazione del dolore” ed è tanto maggiore tanto più è intenso il dolore e tanto più rapido ne è il venir meno.    

Per l’autore la maggior parte dei dolori morali nasce dall’ERRORE, per cui l’utilizzo della ragione apparirebbe come antidoto efficace per sfuggire alla sofferenza. Sebbene la virtù non sia sufficiente a rendere felice l’uomo, è certo – secondo Verri – che l’uomo buono sia più felice del malvagio.

Se l’uomo utilizzasse di più la propria RAGIONE egli proverebbe meno timore e, di conseguenza, avvertirebbe meno dolore.

Eppure è difficile sottoporre alla ragione i nostri sentimenti, poiché noi stessi non ne conosciamo la causa. Alcuni dolori sono infatti “DOLORI INNOMINATI” e, per Verri, da questi nascerebbero le BELLE ARTI.

Ecco che la ragione come antidoto al dolore rivela così la propria parziale inadeguatezza; essa non è in grado di sottrarci ad ogni sofferenza, ma può, più modestamente, scremare parte dei dolori morali.

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