L’OCCHIO DEL COCCODRILLO OVVERO LA POESIA DIMENTICATA

Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell’abisso, inferno o cielo non importa. Giù nell’ignoto per trovarvi del nuovo.

[Charles Baudelaire]

 

Strane creature albergano al fondo degli abissi.

Altre d’un tratto s’inabissano per raggiungere le prime. Vogliono anch’esse fare esperienza delle profondità più buie e sconosciute. Vogliono sfondare il rigore della superficie e della prosa, sfondare i mondi noti e sondare il fondo, ignoto e torbido, della poesia.

Andare a fondo, fino in fondo, alla ricerca di qualcosa di nuovo, di un suono essenziale ed inaudito. Alla ricerca famelica e ardua della lingua della balena e della visione, trasognata e quasi mistica, di ciò che invisibile.

Eppure al fondo dell’abisso vi è un fondale. E questo non è altro che una nuova superficie, scorza o pelle o parvenza.

Subito l’ignoto appare svuotato dall’interno. Così finisce per ripiegarsi esanime nel dominio del noto, del già detto, visto e sentito. L’ignoto, per così dire, implode in se stesso, rivelandosi come regno delle formule che già conosciamo, regno oltremodo angusto. E il desiderio di andare oltre, di una profondità che sconcerta, di una lingua nuova, si rivela ancora una volta un’illusione, uno spiacevole ritorno ad un j’ai vu.

Pur consapevole dell’illusione, qualcuno ha voluto lo stessa arrischiarsi in questa discesa.

Non è possibile al momento sentenziare della riuscita o del fallimento di questa impresa. Infatti, dall’abisso non è detto che si ritorni. Ma se ritorna, l’uomo diventa poeta, trova parole che dicano di cose e di maschere, non senza pagare un prezzo per questo.

Talvolta nella discesa non si è soli, c’è qualcuno che dal basso si avvicina e si accinge a risalire, a volte un vecchio amico, qualcuno che non si vedeva da un po’. Fantasmi del passato o energie fantasmagoriche? Un mito tramutatosi in incubo, un’Euridice fattasi statua salata o meglio un astro collassato in un buco nero.

Quel giorno, non unica nelle profondità marine, una misteriosa apparizione lo aveva lasciato a bocca aperta. Stupefatto, rigido e pallido come un mattino d’inverno.

Il volto dell’altro gli parve orribilmente, selvaggiamente deformato. Era il volto di un coccodrillo. L’espressione lattiginosa, la pelle escoriata, screziata, gli occhi…gli occhi terminali vitrei di un sonno uniemisferico. Gialli, opachi ed incoscienti, sospesi a pelo d’acqua.

Cosa era accaduto in quel relativamente breve lasso di tempo in cui ebbe modo di correre a precipizio nella palude stigia dell’ignoto?

Mentirei se dicessi di aver trovato una risposta sensata. Capii però che quell’uomo aveva avuto il coraggio di diventar poeta.

 

 

L’autentica poesia non è mai un modo più elevato della lingua quotidiana. Vero è piuttosto il contrario: che il parlare quotidiano è una poesia dimenticata.

[Martin Heidegger]

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